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6giu/16Off

Perugia-Assisi, la lunga marcia di Capitini tra Gandhi e antifascismo

Articolo di Sandra Amurri (Fatto 6.6.16)

""“Sarà pur bene che qualcuno lo faccia: il fuoco viene sempre acceso da un punto”. Riflessione questa che riassume in poche parole la vita del profeta della non violenza, Aldo Capitini: filosofo, pedagogista, poeta umbro che camminava ispirato da San Francesco d’Assisi, da Gandhi e da quello che definiva il Gandhi italiano, Danilo Dolci, di cui elogiava, oltre alla “assoluta non violenza” la “partecipazione con il basso”.
Uomini che hanno segnato un fermento culturale e spirituale, mai disgiunti, che il tempo sembra aver dissolto. Un religioso laico, come amava definirsi Capitini, convinto che solo la “spiritualità non violenta potesse tenere assieme la vita religiosa con quella pubblica che definiva ‘religione della prassi’”. L’accomunare la religione alla morale. La religione che critica la realtà e la spinge al cambiamento in positivo. Grande oppositore del fascismo e fortemente critico nei confronti di una Chiesa responsabile di “non aver visto il male che c’era nel fascismo, non aver capito a quale tragedia conduceva l’Italia e l’Europa, aver ottenuto vantaggi da un potere brigantesco sorto uccidendo la libertà, la giustizia, il controllo civico, la correttezza internazionale; non sono errori che ad individui si possono perdonare, come si deve perdonare tutto, ma sono segni precisi di inadeguatezza di un’istituzione, ancora una volta alleata di tiranni”.
E fu anche grazie all’atteggiamento della Chiesa romana che l’opposizione al fascismo di Capitini “divenne in me religiosa, cercai piú radicale forza per l’opposizione negli spiriti religiosi-puri, in Cristo, Buddha, S. Francesco, Gandhi, di là dall’istituzionalismo tradizionale che tradiva quell’autenticità…”, sono le parole di Capitini, che spiega: “Imparai il valore della non collaborazione (anzi lo acquistai pagandolo, perché rifiutai l’iscrizione al partito, e persi il posto che avevo); feci il sogno che gli italiani si liberassero dal fascismo non collaborando, senza odio e strage dei fascisti, secondo il metodo di Gandhi, rivoluzione di sacrificio. Divenni vegetariano, perché vedevo che Mussolini portava gli italiani alla guerra, e pensai che se si imparava a non uccidere nemmeno gli animali, si sarebbe sentita maggiore avversione nell’uccidere gli uomini”.
Quando nel 44 Capitini fondò a Perugia il primo Centro di Orientamento Sociale (Cos), una contro-istituzione da opporre alla realtà chiusa dei partiti, assemblee popolari nelle quali tutti potevano esporre la propria opinione, fu aspramente criticato dalla Democrazia Cristiana che arrivò a chiedere alle autorità di proibire quelle riunioni. Terminata la guerra, insieme a Ferdinando Tartaglia, ex prete di Firenze, lavorò alla riforma religiosa fondata sui principi del dialogo con le altre religioni.
Al Primo congresso un giovane restò ammaliato dalle sue parole. Era Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza del servizio militare del Dopoguerra, processato e condannato finchè ottenne il congedo per ragioni di salute. Capitini credeva che l’obiezione di coscienza fosse
un’arma efficace per trasformare la società: “Con una lotta che può anche porsi contro le leggi ingiuste, ma pubblicamente e non rifiutando la pena”.
Nel libro Le ragioni della nonviolenza a cura Mario Martini Mario scrive: “Ma oltre l’equivoco della nonviolenza come pace, vorrei chiarire e dissipare un altro equivoco, che è ancora più insinuante e pericoloso. Nella lotta politica e sociale, necessaria in una società di ingiustizia e di privilegi, la nonviolenza fa tirare un sospiro di sollievo ai tiranni di ogni specie; e questo sospiro di sollievo è per noi oltre modo tormentoso. La nonviolenza non è soltanto rifiuto della violenza attuale, ma è diffidenza contro il risultato ingiusto di una violenza passata. Di quanto più di violenza è carico un regime capitalistico o tirannico, tanto più il non violento entra in uno stato di diffidenza verso di esso”. E definisce “disgustoso il nonviolento che si fa cortigiano: migliore è allora il tirannicida, Armodio, Aristogitone, Bruto. Due grandi nonviolenti come Gesù Cristo e San Francesco si collocarono dalla parte degli umiliati e degli offesi. La non violenza è il punto della tensione più profonda del sovvertimento di una società inadeguata…”. E in Elementi di una esperienza religiosa spiega: “Io non dico: fra poco o molto tempo avremo una società che sarà perfettamente non violenta…a me importa fondamentalmente l’impiego di questa mia modestissima vita, di queste ore o di questi pochi giorni; e mettere sulla bilancia intima della storia il peso della mia persuasione”.
Il primo centro per la non violenza Capitini lo fonderà nel 1952 per l’anniversario della morte di Gandhi a cui seguirà Centro di Orientamento Religioso (Cor), per favorire la conoscenza delle altre religioni. Ma anche in questo caso la Chiesa locale si oppose vietandone la frequentazione e inserendo il suo Religione Aperta nell’indice dei libri proibiti. Il 24 settembre del 1961 Aldo Capitini organizza la prima Perugia-Assisi la marcia per la Pace e la fratellanza dei popoli. Un “accomunamento dal basso” la definisce, “un’estrinsecazione fisica disciplinando il corpo ad una idea che si serve pensando a tutti” e permette di ristabilire un contatto con la terra. Pietre miliari le sue parole pronunciate nel 66 al convegno “Scuola e democrazia”: “La scuola deve essere semplicemente una preparazione per domani, cioè una preparazione non solo per il lavoro, ma per il tempo libero di domani. Uno dovrebbe avere imparato a scuola, aperta sul serio, ad usare il suo tempo libero, per esempio a sapere quali sono i valori da approfondire, i valori per cui vale la pena di vivere e di morire; a sviluppare la voglia di leggere, a formarsi un orientamento filosofico, un criterio d’arte…”.
Aldo Capitini, madre sarta, padre custode al comune, era figlio di quel popolo che voleva diventasse artefice delle scelte democratiche: “Figlio di persone del popolo, vissuto in povertà e in disagi, con parenti tutti operai o contadini, i miei studi (vincendo un posto gratuito universitario nella Scuola normale superiore di Pisa) ed anche i primi amici non mi avevano veramente messo a contatto con la classe lavoratrice nella sua qualità sociale e politica” racconta: “Anche se da ragazzo ascoltavo con commozione le musiche di campagna che il primo maggio suonavano di lontano l’Inno dei lavoratori, di là dal velo della pioggia primaverile, non conoscevo bene il socialismo. Avevo visto dal mio libraio le edizione delle opere di Marx e di Engels annerite dagli incendi devastatori dei fascisti milanesi alla redazione dell’Avanti!, ma, preso da altro lavoro, non le avevo studiate. Accertai veramente la profondità e l’ampiezza del mondo socialista nel periodo fascista”.
Capitini morì il 19 ottobre del 68. Pietro Nenni scrisse che era morta una figura eccezionale di studioso isolata perchè considerata stravagante, perchè c’era una punta di stravaganza nell’andare contro corrente, e Capitini era andato contro corrente all’epoca del fascismo e nuovamente nell’epoca post-fascista. Forse troppo per una sola vita umana, ma bello.""

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