Accadde oggi: proibita in USA l’importazione di schiavi
1807 - Il Congresso degli Stati Uniti d'America approva un atto con cui è "proibita l'importazione di schiavi in qualsiasi porto o luogo all'interno della giurisdizione degli Stati Uniti... da qualsiasi regno, luogo o nazione estera".
Alcuni mesi dopo anche la Gran Bretagna vietò il commercio degli schiavi. Ma la tratta degli schiavi africani in Brasile e Cuba continuò fino al 1860. Nel 1865, circa 12 milioni di africani erano stati spediti attraverso l'Atlantico verso le Americhe. Più di 1 milione di loro era morto di maltrattamenti durante il crudele viaggio dall'Africa. Inoltre molti altri africani erano morti in periodiche rivolte e nelle marce forzate. (In fondo il trailer del film "Amistad" di Spielberg sulla tratta degli schiavi)
La legge del Congresso segnava un primo passo verso l'abolizione della schiavitù. Tuttavia con una popolazione di oltre 4 milioni di schiavi che vivevano già negli Stati Uniti, il commercio degli schiavi all'interno continuò in tutto il Sud. I figli degli schiavi divenivano essi stessi schiavi causando così una continua crescita della popolazione di schiavi.
L'abolizione definitiva della schiavitù negli Stati Uniti avvenne nel 1865, a Guerra di Secessione conclusa, con l'introduzione del XIII emendamento nella costituzione.
L'abolizionismo, come movimento politico comincia a tradursi in concreti atti di legge a cominciare dal 1700 contemporaneamente alla diffusione delle idee illuministiche di libertà e uguaglianza di tutti gli uomini. In Francia, la voce "Tratta dei negri" dell'Encyclopédie redatta da Louis de Jaucourt nel 1776 condanna la schiavitù e il commercio degli schiavi che «viola la religione, la morale, le leggi naturali, e tutti i diritti naturali dell'uomo».
Ma le cause ideologiche ed economiche dell'abolizionismo possono essere ben identificate nella Guerra di secessione americana. Qui ai motivi religiosi e a quelli ideali umanitari, nati in Europa in epoca illuminista e trasmigrati in America, della liberazione degli schiavi si aggiunsero le motivazioni economiche che si svilupparono con il progresso industriale che pretendeva che gli Stati Uniti avessero un sistema unitario della produzione. Al protezionismo degli stati industriali del nord che si avvalevano del lavoro di operai salariati si contrapponeva il regime degli stati agricoli schiavisti del Sud.
Tra le cause della guerra emerge infatti la necessità per gli Stati del Nord di una adeguata industrializzazione e modernizzazione dell'agricoltura in tutto il territorio nazionale con l'introduzione di macchine agricole e di una agricoltura condotta con metodi industriali.
Non era tollerabile che l'agricoltura del Sud fosse incentrata soprattutto sulla monocoltura del cotone e che si utilizzasse ancora manodopera servile.
Lo schiavo era un cattivo affare, era l'illusione di un lavoro gratuito mentre richiedeva spese per il suo mantenimento in vita e per la sua sorveglianza; al contrario l'operaio salariato doveva cavarsela da solo per il suo mantenimento legato alla paga ricevuta.
Numerosi economisti come Adam Smith e Sismondi avevano stimato che il costo della manodopera servile era superiore a quello della manodopera salariata: «L'esperienza di ogni tempo e luogo dimostra che il lavoro degli schiavi è in fin dei conti il più caro di tutti. Colui che non ha niente di proprio non può avere altro interesse che di mangiare il più possibile e di lavorare il meno possibile.»