Dialogo Piketty-Boeri: rifacciamo il Capitale
Articolo a cura di Francesca Sironi (Espresso 3.10.14)
""I paradisi fiscali? «Contro chi accumula ricchezze tax-free bisognerebbe dimenticare le buone maniere. Basta! L’Europa deve avere il coraggio di fare passi concreti. Di imporre sanzioni. Di punire chi ha accumulato patrimoni grazie all’opacità sulle tasse». Fuori e dentro i confini dell’Eurozona però «l’Unione dovrebbe essere più coesa, più forte, ma anche più democratica». Per questo, il fatto che «sia Matteo Renzi sia François Hollande non siano ancora riusciti a proporre un cambiamento politico concreto per superare i diktat della Commissione europea sul debito è una profonda delusione». L’economista francese Thomas Piketty, l’osannato, ultra-citato, “Marx del XXI secolo” - come l’ha definito l’“Economist” -, non usa mezzi termini nel dialogo col professore milanese Tito Boeri.
L’italiano è appena emerso da tre ore di lezione, strappato per un momento all’infuocato dibattito sulla riforma del lavoro che si ispira a teorie da lui elaborate anni fa. Piketty ha scritto un saggio di 946 pagine sulle disuguaglianze, “ Il capitale nel XXI secolo ”, che è diventato un caso mondiale ed è stato appena tradotto in Italia da Bompiani. In attesa della presentazione italiana del best seller, i due economisti si sono incontrati, in esclusiva per “l’Espresso”, a discutere di «governi poveri per cittadini ricchi», di tasse alle multinazionali e politiche pubbliche da riformare. Ecco il loro dialogo.
FUORI DAL PALAZZO
Boeri - L’aspetto del libro che forse ho apprezzato di più è il metodo di lavoro. Dedicare un’intera carriera a raccogliere sistematicamente enormi quantità di dati, renderli comparabili approfondendo dettagli complessi (e noiosi), organizzarli e quindi farli parlare: significa spendere molto tempo per un solo obiettivo. In pochi abbiamo il coraggio di farlo, preferendo risultati a breve termine. Pochi studiosi poi hanno il coraggio di trarre dalle loro ricerche delle lezioni generali. E, riconoscendo che l’economia non è una scienza esatta ma ha pretese normative, non temono di prendere posizione. Ecco: lei prende posizione.
Piketty - Spesso gli economisti fondano le loro analisi su sofisticate teorie matematiche, mostrando poco contatto con la realtà. Io e i miei colleghi abbiamo cercato di fare l’opposto: di raccogliere quante più informazioni possibile sui redditi e il benessere degli individui lungo tre secoli e attraverso venti Paesi per arrivare così a dare una prospettiva storica e politica al capitalismo. Partendo dai dati, e raccontando una storia, ho cercato di rendere l’analisi più interessante per chi è lontano dall’università. Poi sì, alla fine ho tracciato delle conclusioni, perché penso sia troppo facile fermarsi un passo prima, ma il mio obiettivo non è quello di proporre una soluzione magica al problema delle disuguaglianze sociali. Quanto piuttosto offrire uno sguardo nuovo, valido scientificamente, storicamente confrontabile e internazionale, sul capitalismo, così che le persone ci possano pensare e trarre da sole delle risposte.
Boeri - Sono d’accordo, e penso sia una delle ragioni del successo del saggio, nonostante sia un volumone spesso e pesante. Ho notato però una tensione, fra le prime sezioni, dense di dati, spiegazioni, richiami storici, da vero ricercatore, e gli ultimi capitoli, dove c’è un approccio differente. Anche se mi trovo d’accordo con molte sue idee, sforzandomi di essere un lettore distaccato e obiettivo trovo questa parte del libro meno convincente della prima. Soprattutto ho forti dubbi sulla fattibilità delle sue proposte. E penso che l’economia politica, come lei la chiama, dovrebbe sforzarsi di formulare proposte davvero praticabili.
GIUSTIZIA FISCALE
Piketty - Proverò a convincerla adesso allora, torniamo sulle mie conclusioni. Quello che sostengo nell’ultima parte del saggio è che avremmo bisogno di più trasparenza sui redditi e sulla ricchezza privata. La tassazione progressiva dei patrimoni sarebbe il modo migliore per raggiungere questa trasparenza. Sapere come, quanto, chi e a che velocità si sta arricchendo è fondamentale in una democrazia, perché senza informazione lasciamo spazio ai populismi. Sempre più persone sono convinte che la globalizzazione funzioni solo a beneficio di una ristretta cerchia di ultra-ricchi. Soltanto assicurando più giustizia fiscale e sociale potremo persuaderli del contrario. Ma per ottenere una distribuzione della ricchezza accettabile, giusta, è un errore confidare solo sulle forze spontanee del mercato. Qualcosa però sta cambiando. Penso che dal mio libro si possano trarre prospettive ottimistiche. La principale ragione d’ottimismo è che nei Paesi europei, l’Italia, la Francia, ma anche la Germania, c’è ancora molta ricchezza. Anzi: nell’ultimo decennio la percentuale dei patrimoni privati sul prodotto interno lordo è aumentata molto più di quanto non sia cresciuto il debito pubblico. I nostri governi sono poveri. Ma i nostri concittadini sono molto più ricchi di un tempo.
Boeri - È vero: e l’Italia è un paese in cui questa differenza fra governo squattrinato e cittadini Paperoni è particolarmente forte anche in confronto ad altri Stati. Detto questo, però, non posso condividere il suo ottimismo: una cosa è rendersi conto della situazione, un’altra è porvi rimedio. E in questo caso la soluzione mi sembra estremamente difficile: aumentare le tasse sul patrimonio rischia di non portare ad altro che alla fuga dei capitali verso paesi meno esosi. Lei lo riconosce, quando sostiene la necessità di un coordinamento internazionale. Ma non mi sembra una soluzione stabile: anche se dovessimo raggiungere un accordo fra Stati sulla tassazione dei grandi patrimoni, i governi avrebbero troppi incentivi a non rispettare questi accordi pur di attrarre nuove ricchezze. Forse sono più pessimista di lei.
GUERRA AI VANTAGGI OFFSHORE
Piketty - Non penso esista una soluzione semplice. Ma innanzitutto ribadiamo la diagnosi: la nostra salute finanziaria è migliore di quanto non siamo soliti riconoscere. E ci sono altre ragioni di ottimismo.
Boeri - Quali sarebbero?
Piketty - Cinque anni fa la maggior parte degli analisti era convinta che il segreto bancario in Svizzera sarebbe durato per sempre, perché la Svizzera era troppo potente e non avrebbe mai accettato pressioni da altri Paesi. Poi sono bastate le sanzioni degli Stati Uniti alle banche elvetiche per far cambiare completamente approccio al governo di Berna. È triste riscontrare come nessun Paese europeo fosse riuscito a risolvere il problema prima, che si sia dovuta aspettare Washington per ottenere un risultato, ma il segnale è questo. Ovvero che se iniziamo a imporre ammende rigorose, se la smettiamo di chiedere gentilmente ai paradisi fiscali di smetterla di fare i paradisi fiscali, e iniziamo a usare strumenti più pragmatici, come multare chi si è arricchito grazie all’opacità sulle tasse, è possibile fare progressi. Certo: questo richiederebbe un’unione politica europea molto più forte. Perché se c’è una differenza fra gli Stati Uniti e l’Europa non è nel Pil, che anzi è più alto per l’insieme dei Paesi Ue che per gli Usa, ma è che noi, seppure uniti, non abbiamo una sola voce. Soltanto con una comune politica fiscale, con un parlamento che possa prendere decisioni sui rapporti finanziari ed economici dentro e fuori l’Eurozona riusciremo a fare progressi. Finché Italia, Germania, Francia, continueranno a competere fra loro per attrarre investimenti stranieri, finché a Parigi un ministro dell’Economia potrà avere un conto in Svizzera convinto che nessuno se ne accorgerà, tassare le grandi multinazionali, combattere l’evasione o far rispettare i propri provvedimenti sugli offshore resterà un’illusione. Soprattutto in termini di strumenti fiscali ormai la sovranità nazionale non può più nulla.
PIU' CORAGGIO A BRUXELLES
Boeri - C’è sicuramente un problema di deficit di democrazia in Europa. La mia impressione è che l’integrazione a piccoli passi che abbiamo cercato di raggiungere finora, seguendo il metodo di Jean Monnet (uno dei padri fondatori dell’Unione Europea) non abbia funzionato. Ogni passaggio in avanti che facciamo, rischiamo di farne due indietro, perché aumentano gli euroscettici. Non è preoccupato anche lei dal fatto che stiamo andando proprio nella direzione opposta a quella che auspica, ovvero verso una maggiore divisione a livello europeo?
Piketty - Sì, sono preoccupato anch’io. Per questo insisto sul fattore della democrazia. Guardiamo Matteo Renzi: fa bene a pretendere più attenzione alla crescita. Fa bene a voler utilizzare i soldi per lo sviluppo e non solo per la riduzione del debito. Ma finché si limiterà a battere su questo punto, finché non farà proposte più audaci e concrete a livello politico, la Germania avrà ragione a respingere le sue richieste in Commissione, ad accusarlo di volere soltanto un’altra carta di credito per spendere senza limiti. Tre anni fa François Hollande propose di creare un fondo in cui mettere in comune parte dei debiti pubblici nazionali. Bene: ma allora sarebbe necessario mettere in comune anche le scelte sul deficit, non potremmo continuare a prendere decisioni ognuno per sé. L’unione politica sulle scelte economiche non è più rimandabile. Con altri colleghi francesi e tedeschi ho sottoscritto un manifesto: la proposta è creare un piccolo parlamento dell’Euro, formato da deputati già eletti in ciascuno dei Paesi che ha adottato la moneta unica, e che prenda decisioni sulla finanza comune in base alla maggioranza, alla luce del giorno. Molti dicono: con la crisi che c’è, a cambiar le istituzioni si perde tempo. Ma nel 2012 i trattati sono stati modificati in soli 6 mesi. Non nella direzione giusta però: non hanno che approfondito l’approccio tecnocratico, in termini di regole, regie, di deficit, di negoziazioni inefficaci tra governi nazionali e commissione europea. Certo, le decisioni prese da questo nuovo parlamento non saranno perfette, io stesso potrò trovarle troppo di destra, troppo di sinistra, troppo lassiste o troppo rigide, ma almeno sarà meglio della situazione attuale. I partiti di sinistra spesso danno l’idea di voler essere certi in anticipo che un’ Europa più unita significhi sempre decisioni progressiste. Ma non è possibile saperlo a priori: dobbiamo confidare nella democrazia. Non possiamo perdere la nostra sovranità monetaria e fermarci lì: siamo obbligati a creare una nuova sovranità comune, soprattutto in materia fiscale.
NON C'È POSTO PER TUTTI IN QUESTA UE
Piketty - La parte difficile è che dovremo accettare che tutto questo non funzionerà per 28 Paesi. Dobbiamo costruire istituzioni politiche più forti per un minor numero di Paesi. Poi se arriveremo a dimostrare che questo funziona, altri governi vorranno magari salire sul nostro carro, e non allontanarsene come succede ora.
Boeri - Un’Unione Europea più piccola ma più coesa quindi... Al momento però ci sono già diciotto membri solo nell’area dell’Euro: e come scrive lei stesso avrebbero tutti conseguenze catastrofiche se uscissero dalla moneta unica. Quindi forse proporre un’Europa più piccola non è poi più facile del rendere più unita quella grande...
Piketty - Ovviamente non è una soluzione semplice. Ma aspettare che le cose migliorino da sole è altrettanto irrealistico. Come racconto nel libro, la Storia trova sempre soluzioni inimmaginabili fino a poco prima. La mia preoccupazione, nello scrivere “Capitale”, era di cercare di sgomberare il campo dai nazionalismi. Le persone tendono a pensare che i problemi del loro Paese, della loro città, siano unici, che non possiamo imparare da altre esperienze o soluzioni, perché “oggi è diverso”. Ecco: ho cercato di dimostrare che non è affatto così.
OLTRE LA TASSE...
Boeri - Ho un’altra riflessione sul suo libro da condividere. Di solito i saggi sulle disuguaglianze sociali dedicano ampio spazio al tema del welfare e dei trasferimenti sociali. Lei no. Mi ha colpito. Cosa dovremmo fare secondo lei con tutti i soldi presi dalle tasse sul capitale? Come evitare che chi riceve aiuti di Stato non ne diventi dipendente?
Piketty - Parlo di stato sociale e spesa pubblica quando accenno al sistema pensionistico, alla necessità di riconsiderare l’efficienza e l’organizzazione del nostro sistema scolastico, ai modelli francesi e italiani che non funzionano, mentre quello americano, pur avendo creato le migliori università d’élite, non è migliore in quelle di livelli inferiori. Credo che nessun Paese oggi abbia una soluzione perfetta sul welfare, e di sicuro non ho approfondito abbastanza questo aspetto. Potrei scusarmi dicendo che scriverò un altro libro sull’argomento. Ma forse la vera ragione è che ho voluto dare una prospettiva più lunga possibile alle disuguaglianze prodotte dal capitalismo, alle forme della proprietà, ai cambiamenti introdotti dalla rivoluzione industriale, e ho dovuto concentrarmi su questo.
Boeri - Un’ultima domanda: lei ha fatto un grande lavoro sui più ricchi, sugli individui con i redditi più alti, i patrimoni più vasti. Non pensa però che oggi il problema stia piuttosto nei pochissimi dati che abbiamo sui più poveri, gli ultimi degli ultimi? Abbiamo avviato qui alcune ricerche sugli homeless in Europa e ci siamo resi conto di quanto siano invisibili ai nostri studi.
Piketty - Ha ragione. La nostra capacità di conoscere chi sta in cima alla scala sociale è insufficiente. Ma non quanto quella di raccontare chi sta a terra.""