La leggenda del grande inquisitore
Articolo del nostro iscritto Gianni Benevelli (iniziativa laica.it 22.05.16)
La leggenda del grande inquisitore
Dalle pagine più intense dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij (1821-81): Gesù riappare sulla Terra dopo 15 secoli, manifestandosi al popolo di Siviglia; proprio sulla piazza dove il cardinale grande inquisitore, il giorno prima, aveva fatto bruciare in una volta sola un centinaio di eretici “ad maiorem Dei gloriam”.
Il grande inquisitore è un “ vecchio quasi novantenne, alto e diritto, dal viso scarno e gli occhi infossati, nei quali riluce ancora un bagliore di fuoco”.
Riconosciuto Gesù, subito lo fa rinchiudere nella tetra prigione del Sant’uffizio; e, scesa “la nera, calda, soffocante notte sivigliana”, lo raggiunge nelle segrete e si rivolge a lui con un monologo allucinante e terribile:
« Non eri forse tu a ripetere sempre: “Voglio rendervi liberi?” (...) Tu te ne vai a mani vuote nel mondo con una promessa di libertà che gli uomini, nella loro semplicità e nella loro sregolatezza innata, neppure possono concepire (...). Vedi invece queste pietre nel deserto nudo e infuocato? Mutale in pane e l’umanità ti seguirà umile e riconoscente, anche se eternamente timorosa che tu possa ritirare la mano e privarla dei suoi pani. Ma tu non volesti privare l’uomo della libertà e disdegnasti l’invito dello spirito malizioso del mondo che ti tentò nel deserto; giacché, pensasti, quale libertà vi può mai essere se l’obbedienza la si compra con i pani? Tu obbiettasti che non di solo pane vive l’uomo; ma sai tu, che nel nome di questo pane terreno insorgerà contro di tè lo spirito della Terra che lotterà con te, ti vincerà, e tutti lo seguiranno: (...) “ Sfamali, e poi pretendi la virtù!” Ecco quello che scriveranno sulla bandiera che leveranno verso di te! (...). Allora saremo noi a sfamarli, dando a credere di farlo nel nome tuo. Nessuna scienza darà loro il pane finché resteranno liberi, e alla fine non potranno che deporre la loro libertà ai nostri piedi. Finalmente capiranno da soli che libertà e pane terrestre, in quantità bastante per tutti, sono cose fra loro inconciliabili, poiché mai e poi mai essi sapranno dividerlo fra loro equamente. Si persuaderanno pure che non potranno mai essere liberi, perché sono deboli, viziosi, miserabili e ribelli. Tu hai promesso loro il pane celeste; ma, lo ribadisco: può esso competere, agli occhi dell’eternamente viziosa e indegna razza umana, con quello terreno? (...). Il mistero dell’esistenza umana non consiste solo nel fatto di vivere, ma nella ragione per cui si vive. Senza sapere per cosa vive, l’uomo giungerà perfino a sopprimersi, anche se intorno a lui non vi fossero che pani. In questo avevi ragione! E’ così; ma poi, che cosa è accaduto? Anziché impossessarti della libertà degli uomini, tu l’hai accresciuta ancora di più! Avevi forse dimenticato che la tranquillità e persino la morte sono più care all’uomo della libera scelta fra il bene e il male? Non vi è nulla di più allettante, per l’uomo, della libertà della sua coscienza; ma non c’è nulla, al tempo stesso, di più tormentoso. (...) Ti giuro, l’uomo è stato creato molto più debole e vile di quanto tu pensassi! Può forse eguagliarti in ciò che hai fatto? Essendotelo immaginato così degno di stima, hai agito come se tu non avessi compassione di lui; tu, che l’amavi più di te stesso! Se tu lo avessi stimato meno, avresti preteso anche meno da lui, e più lieve sarebbe stato il suo fardello. (...) Di che cosa è colpevole un anima debole se non ha la forza di accogliere doni così terribili? Questo è un mistero che noi non possiamo comprendere. E se è un mistero, noi pure avevamo il diritto di insegnare agli uomini che non la libera decisione del loro cuore importa, né l’amore, bensì il mistero cui dovevano assoggettarsi ciecamente, anche contro la loro coscienza. E così abbiamo fatto. Abbiamo corretto la tua opera fondandola sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. E gli uomini hanno gioito di essere guidati di nuovo come un gregge e di essere dominati in nome tuo; vedendo che noi, dopo esserci messi alla loro testa, ci siamo caricati sulle spalle il fardello della libertà che essi temono, liberando finalmente il loro cuore dal dono che aveva recato loro tanti tormenti. Non avevamo forse ragione di agire così? Dillo! (...) Perché mi fissi in silenzio, con il tuo sguardo mite e penetrante? Adirati! Io non voglio il tuo amore, perché io stesso non ti amo (...). Ciò che intendo ancora dirti ti è già noto: lo leggo nei tuoi occhi. E sarei io a doverti nascondere il nostro segreto? Vuoi proprio sentirlo dalle mie labbra? Allora senti: lo spirito malizioso e terribile, lo spirito dell’autodistruzione e del non essere..... ecco il nostro segreto! Da un pezzo non siamo più con te, ma con Lui: da ormai otto secoli. Da Lui accettammo ciò che tu avevi respinto con sdegno, quell’ultimo dono che Egli ti offriva mostrandoti tutti i regni della Terra (...) E noi prendemmo la spada dei Cesari; e, brandendola, ovviamente ripudiammo te e seguimmo Lui ( ...) Il gregge di nuovo sarà radunato e noi daremo agli uomini la quieta, umile felicità degli esseri deboli quali essi sono. Noi li convinceremo a non insuperbirsi (...) permetteremo loro di peccare, dicendo loro che ogni peccato, purché commesso col nostro consenso, verrà riscattato;lo prenderemo su di noi ed essi ci adoreranno come benefattori, perché ci saremo fatti carico delle loro colpe dinanzi a Dio. E non avranno più segreti per noi. (...) Moriranno quietamente, quietamente si spegneranno nel tuo nome; e oltre la tomba non troveranno che la morte. Ma noi serberemo il segreto e li alletteremo con la promessa di una ricompensa celeste ed eterna. Perché, se pure vi fosse qualcosa nell’altro mondo, non sarebbe certo per quelli come loro. Dicono e profetizzano che tu verrai di nuovo (...) Dicono che la meretrice assisa sulla bestia con il calice del mistero fra le mani sarà disonorata, che la sua porpora sarà lacerata e il suo corpo impuro denudato (...). E noi, che per la felicità di miliardi di creature ci saremo fatti carico dei loro peccati, ci alzeremo davanti a te e ti diremo: “Giudicaci, se puoi e se osi!” Sappi che io non ti temo. Sappi che anch’io sono stato nel deserto e mi sono cibato di cavallette e radici, anch’io benedicevo la tua libertà e mi preparavo ad entrare nella schiera dei tuoi eletti (...) Ma tornai in me e non volli più servire la causa della tua follia (...) Ciò che ti dico si avvererà e sorgerà il nostro regno. Ti ripeto che domani stesso tu vedrai questo docile gregge che al mio primo cenno si precipiterà ad attizzare i carboni ardenti del tuo rogo, sul quale ti farò bruciare perché sei venuto a disturbarci. Giacché, se vi è qualcuno che abbia meritato il nostro rogo, quello sei tu. Domani ti farò bruciare. Dixi.»
L’avidità di potere e la malafede delle eminenze pontificie; il loro disprezzo per l’umanità reietta, depredata della libertà di coscienza e di libero pensiero; la sua sottomissione psicologica perpetrata col vigore persuasivo della “sacra autorità”; il “ gregge” della cristianità guidato attraverso i pascoli di una religiosità falsa, dogmatica e superstiziosa. In queste ardenti, pagine immortali di letteratura, è esplicitata l’accusa più sferzante che il genio di uno scrittore (credente!) abbia mai saputo elevare.
Il significato dell’esistenza è legato indissolubilmente all’enigma di Dio; ma l’intreccio perverso tra politica e religione ordito dai suoi Rappresentanti in Terra, nel dispiegarsi della storia da loro dominata, li ha fatalmente sviati dal rendere testimonianza al Messaggio di Gesù, volto a liberare l’uomo dai fondamentalismi di tutte le religioni. La critica contemporanea alla religione, alla chiesa, e alla teologia del suo magistero, può essere esplicitata, lampante, nella denuncia: le lotte fratricide all’interno della cristianità, col loro contributo di violenza alle tragedie della storia, hanno condotto alle società paganeggianti di oggi, dove il rifiuto della chiesa coincide col rifiuto di Dio.
Sulle guerre di religione che sconvolsero gli Stati europei a partire dal XVI secolo puntualizza Vittorio Messori sul Corsera in un articolo del novembre 2009:
«In Svizzera la convivenza non è stata sempre idilliaca e ancora a metà dell’800 papisti, calvinisti, luterani, zwingliani si affrontavano duramente in armi».
“Quisquilia”, inezie, continua poi il giornalista - scrittore che così minimizza:
«Così gravi ma, comunque, cose tra cristiani che pregano lo stesso Dio e leggono la stessa Bibbia. Preti contro pastori: una guerra, ma... in famiglia».
Penso alle atroci efferatezze istigate dal fanatismo religioso: la mente, libera di spaziare, mi conduce al borgo antico di Benevello, con le sue casupole sparse lungo i declivi dell’omonima collina che dolcemente degrada in direzione della valle del Tànaro. Navigando nei mari della fantasia, immagino di essere progenie di un’antica famiglia di confessione valdese in fuga da quel borgo, dato alle fiamme in quanto covo di “eretici perduti” che avevano aderito alla riforma protestante e che si cercò cristianamente di recuperare alla “salvezza eterna” con la forza purificatrice del fuoco.
«Amatevi gli uni gli altri, com’io ho amato voi!» (Gv. 15,12)
È veramente singolare la premura con cui fu attuato il comandamento di Gesù nei secoli di cristianesimo che hanno permeato l’Europa!
«Chi legge il Vangelo e non si accorge che Gesù è morto “contro” i suoi odierni rappresentanti, non sa leggere. La loro teologia è la beffa più atroce che un Pensiero d’uomo abbia subito». ( La P maiuscola è mia).
Così Max Horkheimer (1895-1973), filosofo e sociologo non credente. Non è solo la divina indifferenza all’imperversare del male e del dolore innocente sul teatro drammatico della vita ad essere foriera di ateismo e nichilismo; il pensatore tedesco vede nella presenza di siffatta chiesa sulla scena del mondo la causa principale per la perduta fede degli uomini nell’esistenza del Dio delle Beatitudini testimoniato da Gesù.