Il boomerang di Salvini che riduce a un derby la festa del 25 aprile
Articolo dinGad Lerner (Repubblica 23.4.19) “Cosí il suo no rilancia la Resistenza”
“”Annoiato da quel derby e per una volta critico nei confronti degli ultràs, spedisce la palla in tribuna annunciando che il 25 aprile lui inaugurerà un commissariato di polizia a Corleone. Anche gli altri ministri della Lega, prossimo partito di maggioranza relativa, seguono il suo esempio: diserteranno a loro volta le celebrazioni. Vale la pena di soffermarsi sulla compiaciuta grossolanità di questa sintesi storica — "il derby fascisti-comunisti" — con cui Salvini pensa di asfaltare "paroloni" come Resistenza, antifascismo, lotta partigiana, Liberazione nazionale, guerra civile. Essa corrisponde, certo, all’esigenza di divertire il suo pubblico. Da ventriloquo del Buonsenso popolare, enfatizza la contrapposizione rispetto ad avversari descritti sempre come noiosi, invidiosi, anzi "rosiconi" e bisognosi del Maalox. Ecco un’altra parola-chiave di cui si nutre lo sberleffo salviniano: le compresse contro il bruciore di stomaco, il Maalox versione edulcorata dell’olio di ricino somministrato agli antifascisti perché se la facessero addosso, ora destinate ai "simpaticoni della sinistra".
Si tratta della medesima ilarità corporale con cui l’estate scorsa vennero occultate le cicatrici dei migranti sequestrati sulla nave Diciotti («belli, robusti, palestrati e vaccinati») o si attribuirono «unghie smaltate» alla naufraga Josefa. Un meccanismo di degradazione delle vittime necessario a giustificare l’indifferenza per la loro sorte.
Ma c’è di più nel caso del 25 aprile ridotto a impiccio fastidioso, festività da abolire, perché «quella data è diventata un appuntamento ideologico», come sostenuto dal leghista candidato sindaco di Firenze. O come risulta dalle motivazioni con cui il sindaco di Trieste censurò pochi mesi or sono il manifesto di una mostra sulle leggi razziali: «Su questi temi non dobbiamo accendere il fuoco. Il ‘900 va rispettato, dobbiamo tutti metterci sull’attenti e chiedere scusa, da una parte e dall’altra». Chiedere scusa da una parte e dall’altra per le leggi razziali: ecco il Buonsenso codardo di un paese che fascista lo è già stato, e non se ne è mai dispiaciuto troppo.
Pari e patta. Nello spirito del derby di Salvini la storia patria diventa una cattiva consigliera; meglio non rivangare il passato e, se proprio bisogna, riferirsi genericamente a «i drammi storici di settant’anni fa» (sic, data sbagliata). Ridotti a fazioni superate «partigiani e contro-partigiani», ne consegue che non vi sarebbero più testimoni affidabili. «Basta Anpi nelle scuole», recitava infatti lo striscione appeso nei giorni scorsi dal Blocco studentesco davanti al liceo Severi di Milano.
Torneremo sul ruolo cruciale che l’associazionismo partigiano sta riprendendosi nel vuoto politico della smemorata Italia contemporanea. Ma prima vale la pena di rivedere la fotografia scattata in piazza del Popolo il 28 febbraio 2015, dove un militante leghista (usava ancora il fazzoletto verde) issa il cartello col ritratto di Mussolini e la scritta: "Salvini, ti aspettavo!". Sarà piaciuta al diretto interessato?
Il vitalismo compulsivo di Salvini, la sua tendenza a impersonare da icona pop i movimenti passionali d’inimicizia, lo sospingono a una relazione ambivalente con il passato, intessuta di "dico e non dico". Come ogni homo novus egli si propone custode delle tradizioni ma al tempo stesso dissacratore e rivoluzionario. Ai movimenti neofascisti che lo sostengono ha promesso l’abrogazione della legge Mancino, in nome della libertà d’opinione. Ne ha clonato gli slogan, la postura, le divise. Con i trucchi dei ventriloqui emette sarcastici richiami alla figura di Benito Mussolini («il figlio del secolo», per dirla con Scurati) e come lui potrebbe dire: «Cerco il polso della folla e sono sicuro che il mio pubblico ci sia». Tutto questo è vero, ma, dichiarandosi figlio di un secolo nuovo, al tempo stesso Salvini irride sistematicamente chiunque denunci i sintomi di un ritorno di fiamma del fascismo in Italia.
Anche per questo gli viene comodo etichettare il 25 aprile come derby: per sostenere che se viviamo un revival fascista, la colpa sarebbe degli eccessi di un antifascismo di maniera. Meglio minimizzare, ridimensionare il fascismo contemporaneo a innocua tradizione, folklore.
Non fate i tromboni, si scherza.
In effetti se l’antifascismo viene ridotto a tradizione, calcificato in quanto ideologia d’altri tempi, anacronistica e obsoleta, allora perché non retrocederlo al ruolo di sfidante in un derby minore?
Tutto ciò funzionerebbe se davvero, grazie alle elezioni del 2018, il presente italiano fosse una pagina bianca; la nuova era in cui la presenza del 25 aprile risulterebbe superflua, ingombrante.
Carlo Ginzburg, che per autorevolezza di studioso e vicissitudini familiari sul fascismo ha molto da insegnare, suggerisce un altro modo di guardare il presente, per cercare di capirlo. Dice che dobbiamo imparare a guardarlo di sbieco, o se si vuole a distanza, come se lo vedessimo attraverso un cannocchiale rovesciato. Ecco laggiù Trump a capo di una democrazia statunitense che già in passato fu schiavista; ecco il brasiliano Bolsonaro che si fa fotografare col mitra in mano durante la campagna elettorale (vi ricorda qualcuno?); ecco Orbàn teorizzare la democrazia illiberale ungherese… Ne consegue, secondo Ginzburg, che «il fascismo ha un futuro»; e che si può incarnare in nuove forme, non rifuggendo paradossalmente le antiche.
Chi per istinto ha avvertito prima degli altri la metafisica del fascismo che circola sotto forma di razzismo, maschilismo, militarismo nel nostro tempo contemporaneo, sono stati i sopravvissuti della Shoah e i partigiani ancora viventi. Alla senatrice a vita Liliana Segre solo pochi gaglioffi osano mancare di rispetto. Ma mi permetto di suggerire a Matteo Salvini di usare prudenza, nei suoi sfottò, anche riguardo all’Associazione nazionale partigiani d’Italia. Mettersi contro l’Anpi non porta mai bene, altri se ne sono già accorti.
L’inedito protagonismo politico toccato in sorte a questa associazione, e il fastidio che a quanto pare esso suscita, sono anch’essi un segno dei tempi. A quei vecchietti e a quelle vecchiette, l’estrema destra chiede di levarsi dai piedi, finalmente. Contro i giovani che prendono la tessera dell’Anpi per tramandarne la testimonianza, serpeggia l’insinuazione che sarebbero degli abusivi della storia. Tali attacchi stanno ottenendo il risultato contrario: di fronte al dirompente rovesciamento degli equilibri politici, culturali e linguistici verificatosi nel corso del 2018, la scelta partigiana ha riacquistato un’attualità evidente, così come la parola Resistenza.
Fu un incidente fatale del renzismo di governo, ignaro di toccare un nervo vitale della comunità democratica, quando Maria Elena Boschi nel 2016 polemizzò con l’Anpi sostenendo che «i partigiani veri» avrebbero votato Sì al referendum costituzionale.
In quei giorni fui chiamato a moderare sul palco della festa dell’Unità di Bologna, di fronte a quattromila persone, una sfida tra l’allora presidente dell’Anpi, Carlo Smuraglia, 93 anni, e l’allora segretario del Pd, Matteo Renzi, 41 anni.
Smuraglia era arrivato da solo a piedi, con la sua cartella degli appunti. Durante l’incontro, lungo ed estenuante, parve cancellarsi per miracolo ogni differenza d’età. Alla fine pensavo di dover offrire la premura di un braccio di sostegno a quell’anziano signore che subito lo allontanò rassicurandomi: «Andiamo, ora semmai ci vuole proprio un whisky».
Buon 25 aprile a tutti. Anche a quelli che oggi faticano a comprendere perché ci è tanto necessario.””