Fausto Amodei “In Italia nessuno dice piu’ pane al pane, vino al vino”
Articolo di Marinella (Stampa 15.6.19)
“”Un bel gruzzolo di scrittori e architetti, avvocati e poeti, etnomusicologi, giornalisti e letterati. Un combo torinese. Vivevano del loro lavoro ma coltivavano con tenacia la passione per la canzone sociale, che volteggiava per metafore o faceva le pulci in musica ad Andreotti e Fanfani cantandone le malefatte. Cantacronache nacque come contraltare ostinato alla canzone stupidina che si era andata affermando soprattutto a Sanremo, dove le mamme del mondo erano tutte belle. Qui, invece, si badava ai contenuti più che alla musica. Attivo fra il 1957 e il 1963, il gruppo si era riempito di personaggi eterogenei come Italo Calvino, Franco Fortini, Sergio Liberovici, Emilio Jona, Michele Straniero, Margot, Fausto Amodei; tutti scrutati dall’occhio affettuoso e complice di Umberto Eco. Da loro finirono per discendere anni dopo i cantautori, e se De André si ispirò apertamente alla pacifista Dove vola l’avvoltoio di Calvino per la Guerra di Piero, Francesco Guccini confessò poi non a caso di esser stato influenzato da Fausto Amodei, che fra tutti appare ancora il più moderno, il più vicino alla canzone d’autore che noi conosciamo. Un fulmine, Amodei, nel catturare situazioni in atto e farne musica. Pensiamo soltanto a Per i morti di Reggio Emilia, la più famosa delle sue, scritta dopo l’uccisione di 5 manifestanti nel 1960: roba che se qualcuno mai la intonasse oggi in una scuola, passerebbe guai seri.
Otto album sono usciti da qualche giorno, vinili dei ‘60 e ‘70 trasformati per la prima volta in Cd rimasterizzati, a cura della benemerita collana «Dischi del Sole» di Toni Verona, destinata a preservare la memoria storica oggi così poco di moda. Spicca L’ultima crociata di Fausto Amodei, il cantautore ante-litteram, che nel 1974 mentre infuriava la campagna del referendum sul divorzio del 12 maggio, scrisse pepate canzoni sul tema e sulla situazione politica, poi confluite in questo album.
«In parte avevo sbagliato bersaglio perché me la prendevo con Andreotti invece che con Fanfani» dice adesso Amodei, che a 84 anni resta un signore acuto, pacato e assai ironico. Architetto, fu anche deputato fra il ‘68 e il’72 occupandosi del regime dei suoli, senza mai perdere di vista la chitarra che aveva sempre pronta: «Nel ‘62 Cantacronache si aggregò al Nuovo Canzoniere Italiano, fino a fine ‘70, e lavoravo con loro. A un certo punto, con gli anni di piombo, mi sono ritirato non perché mi sentissi disarmato, ma perché tutti questi gruppi musicali non facevano belle canzoni. Ho interrotto al momento dei nouveaux philosophes, subodoravo che potesse venir fuori qualcosa di brutto come successe. L’estrema sinistra mi accusava di revisionismo, scrissi: Io che son revisionista. Il testo diceva tra l’altro: «...C’è un’accusa che mi coglie un poco alla sprovvista/per cui il comunismo mio val niente/Perché non sono un anticomunista».
Per un po’ non ha tenuto più concerti; «Mi sono occupato di Angelo Brofferio e del mio grande Brassens. L’ho anche conosciuto, lui, dopo un concerto a Parigi: ma eravamo due timidi e abbiamo parlato poco».
Voi Cantacronache siete stati i padri dei cantautori... «Abbiamo aperto sulla strada degli chansonnier francesi. Io picchiavo su Brassens, Liberovici invece, si ispirava a Kurt Weill e allo yiddish». Quando ascolta ciò che si suona in questi anni, cosa pensa? «Noi si cantava con i microfoni quando andava bene, adesso come minimo ci sono i fuochi d’artificio. Quel che mi manca è la miseria musicale, ora tutto è sovrastato da echi e batteria. Giocano su 3-4 note, e non sanno che là fuori c’è un mondo. Buttano delle possibilità piacevoli».
Amodei dice di non suonare né cantare almeno da 7 anni: «Quel che continuo a fare sono altre traduzioni di Brassens, che vengono raccolte dalla barese Mirella Conenna. È rimasto comunista? «No. Bisogna prender atto che il socialismo reale ha dato esempi poco luminosi. Lo sarei se ci fosse un partito alla Berlinguer».
Oggi non si scrivono canzoni che risveglino la coscienza, come faceva lei... «Oggi si usano metafore e perifrasi. A dire pane al pane e vino al vino, sono rimasti i fascisti».””