L’abiura di Galileo e i dubbi di Brecht
Articolo di Bernardo Valli (L’Espresso 23.6.2019) “ Nell’atteggiamento dello scienziato di fronte all’Inquisizione il drammaturgo rivive la sua esperienza nell’America maccartista”
“”Frammenti di Rembrandt, di Fra’ Angelico, di Caravaggio, di Raffaello dominano la scenografia di “La Vita di Galileo” rappresentata in questa stagione alla Comédie-Française. Per evocare subito nell’immaginario collettivo il Vaticano, la cappella Sistina, i palazzi veneziani o fiorentini o padovani, in generale l’imperante atmosfera religiosa dell’epoca in cui si svolge l’opera di Bertolt Brecht, il palcoscenico parigino è spesso avvolto da particolari di celebri dipinti, sapientemente ingranditi. E poiché il diavolo è nei dettagli, sottolinea Eric Ruf, il regista e scenografo, gli angeli scelti, scovati da lui hanno sguardi dubbiosi, e i santi espressioni distratte. Tutt’altro che ispirate. Galileo Galilei è come prigioniero di quelle immagini svagate rispetto alla pietà, come sentimento d’amore e comprensione. Su di lui pesa l’oscurantismo: l’Inquisizione. Il carattere del Galileo di Brecht non corrisponde a quello dei libri di storia. Anche se i fatti sono fedeli alla sua biografia. Sulla scena appare un personaggio ironico, a tratti spavaldo, sprezzante, reso euforico dalle sue scoperte, ma anche sconcertato, confuso, quando deve affrontare le conseguenze delle tesi (copernicane) da lui apertamente sostenute. Non perde tuttavia l’ambizione e la lucidità di fronte alla sconfitta e alle minacce fisiche, pur ritirandosi nella solitudine e nei rimorsi. L’attore Hervé Pierre interpreta, quasi sillaba, questi zigzaganti umori di Galileo, mentre intorno a lui si muove, scettica o minacciosa o delusa, una folla di personaggi: dal Papa ai cardinali, dai semplici inquisitori agli allievi fedeli o sconcertati: i cui costumi creati dal sarto Christian Lacroix sembrano usciti dai dipinti dell’epoca. Ricco dunque lo spettacolo, sia pure entro i classici canoni della Comédie-Française.
Come tutte le grandi opere il Galileo di Brecht esprime valori che vanno al di là dell’epoca in cui è ambientato. Brecht vi ha lavorato a lungo. Ne ha fatto tre versioni: quella danese (1938- ’39) durante il primo esilio dopo l’avvento del nazismo, quella statuniten- se (1943-’45), quella berlinese (1956). Quest’ultima rappresentata subito dopo la sua morte. La vita di Galileo tormenta Brecht. La legge anche at- traverso la lente del presente. Del suo presente. Nell’opera teatrale pone con chiarezza l’equazione tra il rifiuto dell’ oscurantismo religioso e il fondamentale dubbio sulla compiutezza, sulla perfezione della scienza. Trasformato un semplice cannocchiale olandese in un telescopio astro- nomico, Galileo si presenta trionfante alla corte fiorentina dei Medici dove spera di essere assecondato nelle sue ricerche. La Luna, sostiene, non ha una luce propria, è illuminata dal Sole, come la Terra, che gli ruota attorno. L’Inquisizione non è d’ accordo, giudica inaccettabile l’idea: se la Terra non è più al centro dell’universo che cos’è, allora, l’uomo nel creato? Sotto la minaccia della tortura Galileo ritratta le proprie idee. L’abiura lo salva fisicamente. Brecht si chiede allora se si possa parlare di sopravvivenza sen- za affrontare il problema della viltà. Costretto a lasciare la Germania nel 1933, dopo l’incendio del Reichstag, lui, Brecht, conosce la sorte subita dagli artisti e dagli intellettuali sotto- posti alla violenza nazista e costretti a risolvere il dilemma: accettare o meno il nuovo regime. Più tardi, negli Stati Uniti, si interessa alle appassionate discussioni, iniziate da Albert Einstein, sulle conseguenze del progresso scientifico, e sull’uso che gli scienziati fanno del loro sapere. Un’altra prova si presenta per Brecht quando, sempre negli Stati Uniti, con altri intellettuali viene convocato dal comitato del Congresso che si occupa delle attività antiamericane. Se la cava assumendo furbescamente atteggiamenti ingenui che gli valgono le felicitazioni degli inquirenti.
Incalzato dagli avvenimenti e dai dubbi Brecht ritocca più volte il giudizio sul “suo” Galileo. Ne fa un combattente, perché dopo l’abiura continua in segreto i suoi studi, affidando i risultati a un allievo incaricato di diffonderli. Ma ne fa anche un col- pevole. Lo stesso Galileo pronuncia un’autocondanna: riconosce che se avesse rifiutato di rinnegare le sue tesi avrebbe lasciato un esempio: un invito a utilizzare la scienza unicamente per il bene dell’umanità. Il Galileo di Brecht ha optato in definitiva per un compromesso.””