Pieni poteri
Riceviamo da Enzo Marzo e volentieri pubblichiamo. Di seguito due articoli odierni di Nadia Urbinati e e Antonio Girelli, tra i tanti che sono usciti in questi giorni alcuni dei quali riporteremo nei prossimi giorni.
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- “””Non sono nato per scaldare la poltrona. Chiedo agli italiani se hanno la voglia di darmi pieni poteri per fare quel che abbiamo promesso di fare, fino in fondo e senza rallentamenti (Matteo Salvini, Pescara, 8 Agosto 2019)
- Mussolini ottenne la prima legge sui “Pieni poteri” il 3 dicembre 1922.
- Hitler ottenne il Decreto dei Pieni poteri (Emächtigungsgesetz) il 24 marzo 1933”
FATE VOI
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“Non cadiamo nel baratro populista“. Articolo di Nadia Urbinati (manifesto 11.8.19) “Crisi di governo. Sembra di capire che il Partito democratico preferisca un governo chiaramente salviniano per potersi meglio fare le ossa e crescere nei consensi grazie alla polarizzazione”
“”Si assiste in queste ore convulse ad una gara di entusiasmo per il voto anticipato. Nel nome della chiarezza, del non inciucio, del far parlare gli italiani – a destra come a sinistra, tutti stregati dal ritorno alle urne. E Matteo Salvini dirige questo garrulo coro nel quale poco o nulla ci si preoccupa delle possibili conseguenze di un monocolore targato Lega. Eppure bisognerebbe preoccuparsi molto proprio in base a quello che Salvini ha mostrato di poter fare in questo anno di governo di coalizione, e per quel che ha detto nel comizio a Pescara: «Abbiamo fatto una scelta di coraggio. Adesso chiedo agli italiani se hanno la voglia di darmi pieni poteri per poter fare quello che abbiamo promesso senza palle al piede. Chi sceglie Salvini sa cosa sceglie».
«Pieni poteri» – cosa assurda in una democrazia parlamentare, è ovvio. Ma il solo coraggio di usare questa espressione mussoliniana, intesa probabilmente a rubare consensi a Fratelli d’Italia, fa rabbrividire.
Salvini vuole la libertà dai lacci e lacciuoli che imporrebbero un governo di coalizione – ecco perché mostra fastidio a presentarsi come il capo di una maggioranza di destra (con disappunto di Giorgia Meloni e di quel che resta di Forza Italia).
Salvini è il Capitano del suo popolo, non di quello d’altri. E il suo popolo, come sanno bene coloro che studiano il populismo, è un artificio retorico di tanta maestria da riuscire a far sentire chi vi si identifica una cosa sola col capo.
Così fu per il più grande dei populisti, colui che diede a questa forma di governo un’identità sua propria, Juan Domingo Perón, il quale disse celebrando la vittoria elettorale del 1949: «Abbiamo dato al popolo l’opportunità di scegliere … Il popolo ci ha eletto, e il problema è risolto».
Il capopopolo pratica una forma di rappresentanza che ha davvero poco a che fare con il mandato elettorale, anche se di questo si serve per competere e vincere. La rappresentanza che crea è come un’incarnazione, un incorporamento del popolo nella sua persona, nelle sue parole, nelle sue scelte.
Ogni distanza che lo separa dagli elettori scompare, con l’esito che il popolo si dà per fede al suo capo. Fede è identificazione. Come disse Donald Trump il giorno della suo insediamento alla Casa Bianca nel gennaio 2017: si celebra qui il popolo vero, non quello delle maggioranze precedenti che era rappresentato dai partiti dell’establishment.
Il capopopolo è un leader che lotta per e conquista il potere usando le regole del gioco democratico; che vuole, anzi, e cerca il consenso elettorale come prova della sua forza.
E fa un uso plebiscitario delle elezioni. Poiché non ha la pazienza della conta dei voti uno per uno – mira ai grandi numeri, alla poderosa e chiara vittoria.
Un po’ come nelle assemblee di Sparta, dove non si conosceva la raffinatezza aritmetica del conteggio delle mani alzate, ma dominava la rozza percezione sensoriale – l’urlo forte era inconfondibilmente un segno dell’esito.
Questo vorrebbe Salvini, che si appresta a rendere quelle che ci attendono come le prime elezioni compiutamente populiste della nostra storia repubblicana.
Le democrazie producono capipopolo quando, come nel nostro tempo, i partiti politici hanno atterrato la loro organizzazione e sono liquidi e leggeri, esposti naturalmente a leader plebiscitari.
Dalla fine dei partiti che avevano fatto la Repubblica, dal 1994, l’Italia è una fucina di populismo.
E, forse, è proprio l’abitudine al populismo a rendere un po’ tutti (anche il Pd) irresponsabilmente contenti per queste elezioni anticipate.
Convinti che comunque vada non ci sarà altro che una nuova maggioranza. Anzi, sembra di capire che il Pd preferisca un governo chiaramente salviniano per potersi meglio fare le ossa e crescere nei consensi grazie alla polarizzazione. Ma questo capopopolo dovrebbe destare molti sospetti, anche perché ha già avuto modo di dimostrare la sua predilezione per politiche autoritarie e il dispregio per lo stato di diritto.
La democrazia costituzionale è come un elastico, capace di sopportare il peso del maggioritarismo – lo abbiamo visto con i governi berlusconiani, che hanno messo a dura prova le istituzioni.
Ma l’elastico può essere tirato fino a raggiungere il suo massimo punto di sforzo e rompersi quando e se un capopopolo si presenta «agli italiani» chiedendo «pieni poteri per poter fare quello che abbiamo promesso senza palle al piede».
La palla al piede non sono solo ipotetici alleati di governo, ma i limiti imposti del governo della legge, come abbiamo già verificato con il DL sicurezza bis. La palla al piede sono quelle norme che devono servire a moderare ogni maggioranza, soprattutto quella più ingombrante. Non vi è nulla di che essere entusiasti per l’eventualità di un governo del capopopolo leghista.””
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“Un pericolo al Viminale. Salvini e la retorica delle via di fatto”. Articolo di Antonio Gibelli (manifesto 11.8.18)
“Un pericolo al Viminale. La celebrazione delle vie di fatto è in realtà una promozione indiretta della violenza sotto le mentite spoglie di una giustizia più giusta, rapida ed efficace. In questo senso è intrinsecamente dannosa e pericolosa, perché è popolare”
“”Nel ministro dell’interno si nota da tempo una propensione, che sembra toccare oggi il suo apice, non diciamo all’uso della forza, ma certamente alla sua retorica, , che sembra toccare oggi il suo apice. Una retorica delle vie di fatto, che esibisce la prepotenza come metodo.
Un giornalista gli chiede conto delle minacce ricevute mentre filmava la scena di suo figlio su una moto d’acqua della polizia?
Egli non risponde, ma lo insulta, insinuando una tendenza pedofila e ripetendo due volte l’insinuazione in tono sarcastico. Un carabiniere viene ucciso? Senza aspettare che il fatto drammatico si chiarisca, Salvini propaga la notizia secondo cui gli autori del crimine sono extracomunitari, che per lui significa immigrati o profughi, e augura loro, anzi promette, una pena che non esiste nell’ordinamento giuridico italiano.
In altra occasione, aveva invocato che altri colpevoli di un reato «marcissero in galera». L’espressione «marcire in galera» non significa niente di preciso, ma richiama un uso vendicativo della pena, una sorta di contrappasso: anche questo non suggerisce un proposito realizzabile all’interno dei principi giuridici italiani, ma fa capire che quello che ci vorrebbe è appunto l’uso della forza, senza tanti complimenti e senza tanti distinguo.
Non ci interessano le leggi e i principi, ma le punizioni rapide e dure, non ci interessano le buone maniere, ma la forza, le vie di fatto appunto.
Lo si ricorda qualche anno addietro, quando aveva appena conquistato la leadership della Lega ma era ancora ben lontano dalle percentuali odierne di consenso, mentre invitava i seguaci raccolti a Pontida a dar vita a spedizioni di sgombero degli «alberghi» nei quali i migranti erano ospitati, uno per ogni regione.
Avendo cura di precisare ammiccando: «pacificamente, s’intende». Il che vuol dire promuovere un gesto violento e illegale come se fosse un’iniziativa perfettamente legittima, semplicemente dettata dal buon senso.
L’invocazione dei suoi «bimbi» come destinatari delle sue premure e ispirazione della sua azione anche quando essa è illegittima (è avvenuto nel caso dell’abuso della moto d’acqua), suggerisce la stessa procedura: giustificare il fatto compiuto in nome dei suoi buoni sentimenti paterni, che sono i sentimenti di tutti e per questo sono superiori a ogni altra regola, a ogni superflua questione di legalità o di decoro delle istituzioni. L’ho fatto per i miei bimbi. Chi non farebbe altrettanto per i suoi? Chi mi può contestare i mie impulsi paterni? Il gesto non mi sminuisce anzi mi eleva. Del resto, ci sono bimbi e bimbi.
Anzi ci sono bimbi (i suoi, i nostri), e bambini «confezionati dall’Africa» come li ha chiamati nel corso di un comizio, che non possono stare in mezzo a noi.
Al diavolo la nostra Costituzione, in quella di Salvini contano altre cose.
La celebrazione delle vie di fatto è in realtà una promozione indiretta della violenza sotto le mentite spoglie di una giustizia più giusta, rapida ed efficace.
In questo senso è intrinsecamente dannosa e pericolosa, perché è popolare.
Ed è popolare perché ha dietro di sé una lunga scia di problemi irrisolti, di promesse non mantenute, di disastri annunciati, di certezze sgretolate, di illusioni dissolte.
Il populismo a due teste cresce in questo brodo di cultura. Ma poiché esso non risolve i problemi, limitandosi a enunciare retoricamente la loro soluzione, deve continuamente alzare il tiro, inasprire la stretta autoritaria e contemporaneamente isolare, minacciare e mettere a tacere con diversi sistemi le voci che denunciano tutto questo.
Il circolo vizioso può sfociare prima o poi in violenza reale. Dare fuoco a un senza dimora è un modo per togliere di mezzo qualcosa che deturpa, infastidisce, offende. Sparare a un negro è un modo per vendicare un delitto attribuito ad altri negri.
Prendere a calci un omosessuale serve a ristabilire un ordine che la sua esistenza viola. Sempre in nome dei nostri bimbi e dei nostri buoni sentimenti. Non solo.
Ora siamo arrivati al dunque, alla richiesta dei «pieni poteri» benedetta dal tripudio dei selfie: qualunque cosa egli sappia o ignori della storia delle democrazie liberali e del loro deterioramento finale, è chiaro che egli pretende ciò che la Costituzione non ammette: governare senza limiti e senza ostacoli, ossia comandare usando in proprio la forza dello Stato, come ha già cominciato a fare.
Si esagera? Può essere. In ogni caso, bisogna trovare il modo di impedirglielo.””