L’ambiente ha un costo ma non vogliamo pagarlo
Articolo di Lucio Caracciolo (Repubblica 19.9.19 sul saggio di Massimo Nicolazzi sulle energie rinnovabili.
“”Un libro è classico a tre condizioni: ti racconta in modo nuovo cose vecchie (quelle nuove sono riserva di Dio); te le racconta in modo che tu possa capirle, magari con un piccolo aiuto degli amici, senza pretendersi superiore (il classico non si proclama dall’ambone, è a tu per tu); e le racconterà a tanti tu che verranno dopo di te (altro che senza tempo: al classico come al vino di tempo necessita). Classico è titolo postumo. Alla memoria. Talvolta goduto dagli autori, spesso monetizzato dai discendenti. Solo per questo ci asteniamo dal definire tale Elogio del petrolio. Energia e disuguaglianza dal mammut all’auto elettrica, di Massimo Nicolazzi (Feltrinelli, 300 pagine, 19 euro). Mentre assicuriamo che, piaccia o meno il suo ragionare, chi lo vorrà leggere non perderà tempo. Il tema è semplice: siamo diventati moderni, sviluppati (più o meno) e democratici (siamo ottimisti) grazie al petrolio. Però il petrolio e le altre energie fossili (specie il carbone) minacciano l’ambiente. Ci ammalano la Terra e noi con essa, eccitando le emissioni di anidride carbonica.
Di qui l’imperativo: ridurre la nostra dipendenza dal greggio e dai suoi derivati. Sapendo che un giorno ancora lontano il petrolio finirà — non per esaurimento, ma perché estrarlo sarà antieconomico. Ben prima di quel giorno converrebbe disporre in decente quantità e qualità di altre energie. Le cosiddette “verdi”. Rinnovabili. Ma la transizione dal fossile al “verde” — il solare ne è emblema — vuole tempo e denaro. Molto. Tanto da indurre l’autore — che di esperienza in campo energetico e finanziario ne ha accumulata varia, tra Agip/Eni e Lukoil e altre aziende — a chiedersi se ce la faremo.
La questione è politica, si sarebbe detto quando questa esisteva. Anzi: geopolitica. La transizione ha senso se investe l’intero Pianeta. Ma nel “regime di Vestfalia” nel quale continuiamo ad agitarci dopo aver proclamato la fine della storia e dello Stato — regime certificato dalla costosa inconsistenza delle organizzazioni internazionali e dall’ovvio prevalere degli interessi nazionali su quelli asseritamente comuni — questa verità si svela utopia. Di più: la cosiddetta opinione pubblica internazionale, che poi sarebbe la somma algebrica delle confliggenti opinioni nazional- locali, non sembra incantata dalla prospettiva di pagare per la transizione energetica.
Le nuove o antiche forme di energia “pulita” hanno bisogno di sussidi e di incentivi pubblici. Nella tasca del cittadino questi si intrufolano, per esempio, sotto specie di prelievi fiscali ad hoc. Ciò non lo rende di buon umore. La vendetta si consuma fredda nella cabina elettorale, contro il governo che per il tuo bene pretende di farti pagare quote di transizione. O calda, per le strade e nelle piazze, come certificato dai gilet gialli. Vestfalia o non Vestfalia, la bronzea legge per cui l’uovo precede la gallina pare unico principio universale vigente. Nicolazzi illustra con non gergale sapienza tecnica e lieve irriverenza le ragioni che inclinano a considerare che per parecchio tempo ancora di fossile camperemo. Non solo, ma certo soprattutto. Malgrado le magie della tecnologia e le conferenze sul clima (incentivo al turismo di massa delle élite, non certo alla riduzione delle emissioni di CO2), per ora le fonti rinnovabili contribuiscono su scala mondiale solo per poco più del 10% al nostro approvvigionamento di energia. Intanto, dopo la Conferenza di Parigi del 2015, le emissioni anziché diminuire continuano ad aumentare (nel 2017, più 1,6% rispetto all’anno precedente; nel 2018 record storico con più 2%, probabilmente superato nel 2019). E quel poco che si abbatte è dovuto al gas — fossile che ci raccontano meno sporco — e alla crescente efficienza energetica, assai più che al trionfo delle “verdi”.
Alla fine, ci viene il sospetto che la transizione in corso non sia tanto dal fossile al rinnovabile, ma da quel che resta della democrazia verso qualche forma di autocrazia capace di invertire il nesso uovo- gallina. Almeno per i suoi sudditi. In nome dell’ambiente, per carità. Tu chiamalo, se vuoi, umanesimo della tirannia.””