Accadde oggi: il Decreto dell’incendio del Reichstag
1933 - Il Decreto dell’incendio del Reichstag è il termine con cui viene indicata la legge che venne promulgata dal governo nazista in risposta diretta all’incendio del Reichstag (Parlamento tedesco) del 27 febbraio 1933. Occorse solo un giorno al governo per farla passare.
Il decreto sospese gran parte dei diritti civili garantiti dalla costituzione del 1919 della Repubblica di Weimar. Il decreto è esemplare di come i nazisti abolirono legalmente tutti i resti di ciò che costituisce una moderna democrazia, come ben si comprende dall’art. 1:
“Gli articoli 114, 115, 117, 118, 123, 124 e 153 della costituzione sono sospesi fino ad ulteriore avviso. È pertanto possibile: restringere i diritti di libertà personale, libertà di espressione, compresa la libertà di stampa, la libertà di organizzazione ed assemblea, la riservatezza di corrispondenza, posta, telegrammi e telefonate, ordinare perquisizioni e confische e limitare la proprietà, anche se questo non è altrimenti previsto dalla legge attuale.”
(In fondo potrai vedere un filmato in cui si ricostruiscono quegli eventi)
Nel successivi articoli, il decreto permetteva al governo del Reich di bloccare i poteri statali e introdurre la pena di morte per un grande numero di reati. In base all’art. 6, la legge venne posta immediatamente in vigore.
Il decreto servì ad Adolf Hitler per ottenere l’arresto dei leader comunisti prima delle imminenti elezioni. Quando il neoeletto Reichstag si riunì per la prima volta, il 23 marzo 1933 per votare sul Decreto dei pieni poteri, gran parte dei deputati comunisti erano già in prigione e, tra comunisti e socialdemocratici, a 107 deputati fu impedito di partecipare alla votazione.
La sera del 27 febbraio 1933 venne appiccato il fuoco al palazzo del parlamento. Polizia e pompieri trovarono all'interno un olandese, Marinus van der Lubbe, portatore di handicap al cervello, ex comunista, ma sorsero subito dubbi sulle sue responsabilità, perché era chiaro che l'incendio era partito da più punti ed era stato alimentato con ingenti quantitativi di materiali infiammabili. Subito si sospettò che l'incendio fosse stato organizzato dai nazisti: la supposizione sarà confermata dagli avvenimenti successivi e dagli interrogatori resi in proposito durante il processo di Norimberga. Pesanti indizi gravarono su un fido di Goering, il comandante delle SA di Berlino, capitano Karl Ernst, che assieme a suoi uomini sarebbe penetrato nel Reichstag attraverso l'unico accesso esistente quando il parlamento era chiuso, il sotterraneo che partiva dalla residenza del presidente del Reichstag, Hermann Goering.
Implicite ammissioni vennero dallo stesso Ernst, che durante la "notte dei lunghi coltelli" (30 giugno 1934) pagò con la vita la sua loquacità. Nel corso del processo di Norimberga il braccio destro di Goering, Rudolf Diehls, preciserà: «Goering, prima dell'incendio, mi ordinò di preparare la lista delle persone da arrestare subito dopo»; e Hans Gisevius, funzionario del ministero degli interni prussiano, preciserà: «Fu Goebbels ad avere l'idea di bruciare il Reichstag e di darne la colpa ai comunisti». Goering, nonostante le testimonianze probanti, negherà anche a Norimberga di essere il responsabile dell'incendio.
In ogni caso l'incendio giovò a Hitler, che il giorno successivo si recò da Hindenburg sostenendo che questo era il primo atto rivoluzionario dei comunisti e proponendo un decreto legge per proteggere la costituzione e i poteri dello stato.
Hindenburg sottoscrisse il testo preparato da Hitler, che si intitolava "Protezione del popolo e dello stato", ma sospendeva tutti i diritti dei cittadini: ora la polizia poteva arrestare, perquisire e controllare ogni tipo di comunicazioni; era sospesa la libertà di stampa, di espressione, di riunione e di associazione. La legge valeva per tutti i Laender e le autorità locali che non la applicavano rischiavano la rimozione. Venne introdotta la pena di morte. Il testo della legge resterà in vigore per tutta la durata del regime.
La polizia procedette all'arresto di tutti i dirigenti e parlamentari comunisti, compreso il segretario generale Ernst Thaelmann, nonostante la legge sull'immunità parlamentare. Finirono in carcere anche numerosi socialdemocratici e altri antinazisti, in tutto oltre 7.000 persone. Tutto si svolse in modo improvviso e inaspettato, così che pochi riuscirono a riparare all'estero, mentre altri, come il presidente del partito comunista John Scheer (che nel giugno del 1934 sarà catturato e ucciso) entrarono nella clandestinità per proseguire la lotta al nazismo. Il giorno successivo all'incendio al Reichstag il presidente del gruppo parlamentare comunista Ernst Torgler si presentò alla polizia per proclamare l'innocenza dei comunisti, ma venne arrestato insieme con tre comunisti bulgari; i quattro, con Lubbe, vennero accusati dell'incendio.
Al processo, che si tenne a Lipsia negli ultimi tre mesi del 1933, assistette un centinaio di giornalisti stranieri. La magistratura, ancora indipendente, giudicò Lubbe colpevole, ma assolse gli altri imputati, con grande dispetto di Hitler. Lubbe, condannato a morte, venne immediatamente giustiziato, Torgler finì in un lager e i tre bulgari vennero espulsi dalla Germania. Dopo questa sentenza i nazisti costituirono un "tribunale del popolo" presieduto da magistrati di loro gradimento, competente a giudicare tutti i reati politici.