All’Europa serve un New Deal
Articolo di Luciano Gallino (Manifesto 27.6.14)
“”A marzo 2014 i disoccupati erano 25,7 milioni nella Ue a 28, e poco meno di 19 milioni nell’eurozona (stime Eurostat). Rispetto a un anno prima si registrava una lieve diminuzione, dal 12% al all’11,8 nell’eurozona, e dal 10,9 al 10,5 nella Ue a 28. A inizio 2008, i disoccupati Ue erano sotto il 7%, circa 10 milioni in meno. Elevatissimi i tassi attuali di disoccupazione degli under 25, anche in paesi che si ritengono poco colpiti dalla crisi: 23,4 in Francia, 23,5 in Svezia, 20,5 in Finlandia, con una media che sfiora il 24% nell’eurozona, pari a 3,5 milioni di giovani. Per non parlare del 42,7 dell’Italia o del 53,9 della Spagna. A sei anni dall’inizio della crisi, che cosa fanno le istituzioni Ue per combattere la disoccupazione? Da anni la la Commissione Europea discute di una «Strategia europea per l’occupazione», nel quadro di un’altra che si chiama «Europa 2020: una strategia per la crescita». Di queste generiche strategie in tema di occupazione non si è visto quasi nulla. Ma ad aprile 2012 la Ce ha lanciato un «Pacchetto per l’occupazione» più dettagliato. Consta di una serie di documenti che gli stati membri dovrebbero fare propri al fine di sostenere la creazione di posti di lavoro, rilanciare la dinamica dei mercati del lavoro, rafforzare il coordinamento tra gli stati membri in tema di politiche dell’occupazione. Le ricette sono le solite che arrivano da Bruxelles: diminuire le tasse sul lavoro; ridurre la segmentazione del mercato del lavoro tra chi ha un’occupazione precaria e chi ha un’occupazione più stabile; sviluppare le politiche attive del lavoro; rimuovere gli ostacoli legali e pratici al libero movimento dei lavoratori, oltre che – nientemeno – incoraggiare la domanda di lavoro.
Come mai, ad onta delle suddette strategie, la disoccupazione ha continuato a imperversare nella Ue? Perché tali strategie, che la Ce ha proposto in pieno accordo con le altre istituzioni UE e la maggior parte dei governi europei, non toccano minimamente i fondamenti strutturali di essa.
Greenpeace, Legambiente e Wwf a Renzi: «L’Europa faccia di piu’ su clima e energia».
Da greenreport.it (24.6.14)
“”In preparazione dell’accordo politico al Consiglio europeo di ottobre sotto presidenza italiana, che continuerà il confronto e discuterà le misure da mettere in campo per ridurre la dipendenza europea dalle importazioni di energia, Greenpeace, Legambiente e Wwf hanno indirizzato al Presidente del Consiglio Matteo Renzi una lettera con 6 proposte concrete sul Pacchetto Clima ed Energia 2030. Le tre grandi associazioni ambientaliste sottolineano che «In vista del vertice sul clima, convocato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon per il prossimo 23 settembre a New York, è cruciale che l’Unione europea faccia sostanziali passi in avanti nella definizione dei suoi nuovi obiettivi in materia di clima ed energia, andando ben oltre l’obiettivo del 40% di riduzione interna delle emissioni di gas-serra entro il 2030. Obiettivi ambiziosi non solo sono fondamentali per sostenere la competitività e l’azione climatica dell’Europa a livello globale, ma sono anche indispensabili per garantire la sicurezza energetica europea».
Disoccupati record, e’ sempre peggio
Da l’Unità del 4.6.14: Istat: 13,6 per cento senza lavoro, 46 per cento tra i giovani
“”La disoccupazione in Italia resta sul livelli drammatici, addirittura da allarme sociale facendo riferimento alla popolazione giovanile, ormai per metà nella vana ricerca di un’occupazione. Numeri che fanno dire al presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che «stiamo strisciando sul fondo». E se il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, afferma che la crisi è «alle spalle ma per rilanciare l’occupazione occorre una ripresa molto forte», il suo collega dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ricorda invece che nel nostro Paese «la crescita è molto debole». Tasso dei senza lavoro che resta ancorato ai valori massimi, +13,6%, mentre la percentuale di disoccupazione giovanile (15-24 anni) nel primo trimestre dell’anno segna un per nulla invidiabile record salendo al 46%(era il 41,9% nello stesso periodo del 2013).
La crisi sociale resta pesante: 9 milioni precari o senza lavoro
Da l’Unità 1.6.14: “” “”È il lavoro (possibilmente stabile) che continua a mancare, tanto da mettere in ginocchio oltre 9 milioni di italiani. La creazione di nuova occupazione è tra i punti prioritari del governo. Dopo aver varato, non senza polemiche, il decreto del ministro Giuliano Poletti sull’apprendistato e sui contratti a termine («Ora le imprese non hanno più alibi per non assumere», la tesi del titolare del Lavoro), l’esecutivo Renzi si appresta a portare in aula entro fine giugno il disegno di legge delega. In quel testo saranno contenute, tra l’altro, la riforma degli ammortizzatori sociali, i servizi per il lavoro e le politiche attive, nonché il riordino dei rapporti di lavoro e di sostegno alla maternità e alla conciliazione.
Se è vero che la ripresa - seppur timida, con un incremento del Pil tra lo 0,1% e lo 0,4% a fine anno - è in arrivo, a dare fiato alle preoccupazioni espresse due giorni fa dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ha invocato «un duraturo incremento dell’occupazione», sono i dati rilanciati ieri dall’Associazione Bruno Trentin (Abt) della Cgil.
Costituzione per la rete
Articolo di Stefano Rodotà (Repubblica 31.5.14)
“”Possiamo dire che comincia a prendere forma una costituzione per la Rete, un vero Internet Bill of Rights? Proprio negli ultimi due mesi vi è stato un affollarsi di novità che non solo giustificano la domanda, ma sono il segno concreto di una tendenza in atto, che ritroviamo in sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea, nell’imminente nuovo regolamento europeo sulla privacy, in una importante legge brasiliana su Internet. Si manifesta così la consapevolezza della impossibilità di lasciare il Web al dominio delle sole logiche del mercato o della sicurezza. E soprattutto viene smentita la tesi della morte della privacy. Questa è tornata al centro dell’attenzione planetaria dopo le rivelazioni sul Datagate, tanto da indurre uno dei più convinti certificatori di quella morte, Mark Zuckerberg, ad affrettarsi ad assicurare che Facebook garantirà a questo diritto una più forte tutela.
Alfabeto civile per trasformare il Paese in una meraviglia
Da l’Unità 31.5.14 articolo sul nuovo pamphlet di Tomaso Montanari
“”Un giorno Tomaso Montanari, che insegna storia dell’arte all’Università Federico II di Napoli, chiede ai suoi 150 studenti se abbiano visto in città una scultura di Donatello. «Si diffonde la sensazione che li stia prendendo in giro - annota -. Quando poi dico che un’opera bellissima si trova a otto minuti a piedi dall’aula, sono quasi tutti certi che si tratti di una domanda a trabocchetto». Non c’è trabocchetto, la chiesa di Sant’Angelo a Nilo conserva una Assunzione della Vergine dello scultore rinascimentale, ma è facile scoprirlo leggendo Istruzioni per l’uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà (pagine 127, euro 9,00, minimum fax). Fossimo stati in quell’aula, quasi tutti noi avremmo reagito come quegli studenti. L’episodio illumina infatti bene quanto ignoriamo delle nostre città. Sarebbe meglio sapere, invece: per vivere meglio, con noi stessi e la nostra democrazia, non per superare esami.
Dalla lotta per i beni comuni puo’ nascere un partito?
Articolo di Govanni Maria Bellu (Left 30.5.14)
“”Qualcuno forse storcerà il naso vedendo la copertina del prossimo numero di left. Quel «la proprietà privata è un furto» scritto a caratteri cubitali in effetti può suonare come una civetteria un po’ retrò se non si nota subito la piccola foto sottostante. Non ritrae Pierre-Joseph Proudhon, ma Paolo Maddalena. Un vicepresidente emerito della Corte costituzionale, non un filosofo anarchico.
Il citare quella frase «antica» - e tanto apprezzata da Karl Marx - ci è parso un modo efficace per comunicare un’idea vecchissima e nuovissima allo stesso tempo: che la sacrosanta proprietà privata deve incontrare dei limiti. E che di conseguenza - come dice la Costituzione - la proprietà pubblica e collettiva del territorio prevale su tutto il resto.
L’Italia che abbandona le sue citta’
Articolo di Tomaso Montanari (Fatto Q. 5.5.14)
“”Il terremoto infinito. Ieri in tanti siamo stati a Mirandola, nel cuore dell’Emilia, che è nel cuore dell’Italia. Ci siamo stati perché due anni fa un terremoto ha distrutto case, industrie, chiese e palazzi antichi. Per fortuna questa volta le case e le industrie sono state ricostruite quasi tutte. Ma le chiese e i palazzi antichi, invece, sono ancora tutti rotti. Alcuni non hanno il tetto: alcuni (come la chiesa del Gesù, a Mirandola, che vedete nella fotografia) sono ancora pieni di macerie. Proprio come il terremoto li ha lasciati: in un silenzio terribile. Non è la prima volta che un terremoto distrugge una città italiana. È successo tante volte: a Messina, in Sicilia, nel Friuli, in Irpinia Poi ci sono state le alluvioni: come a Firenze, tanti anni fa. Prima ancora c’era stata la guerra: e se vedessimo oggi le nostre città come uscirono dalla guerra, non le riconosceremmo.
Emergenza clima
Articolo di Barbara Spinelli “L’imperativo di Jonas per salvare il pianeta” (Repubblica 16.4.14)
“”Non si parla più di clima né di quel che accadrà della terra, da quando la crisi è entrata nelle nostre vite stravolgendole con politiche recessive, disuguaglianze indegne, e una disoccupazione che assieme alla speranza spegne l’idea stessa di futuro. La terra lesionata era il grande tema all’inizio del secolo, e d’un colpo è stata estromessa dal palcoscenico: non più male da sventare, ma incubo impalpabile. Diritto troppo immateriale e nuovo, accampato dal pianeta.
Esiste invece, l’infermità della terra che l’uomo ha causato e sta accentuando: anche se è caduta fuori dal discorso pubblico, anche se è divenuta invisibile come certi malati incurabili che non vogliamo guardare da vicino, e per questo releghiamo in ospizi lontani. È come se, paradossalmente, la crisi ci avesse liberati dell’ineffabile paura che avevamo negli anni Novanta — la morte del pianeta — mettendo al suo posto tante altre paure: non meno angosciose, ma più immediate e senza rapporto con quella trepidazione non più così concreta, traslocata nelle periferie dei nostri pensieri e inquietudini.
Il nostro patrimonio artistico in bilico tra pubblico e privato
Articolo di Salvatore Settis (Repubblica 24.3.14)
A chi tocca tutelare e promuovere il nostro patrimonio artistico? Lo svuotamento di risorse degli uffici di tutela e le conseguenti disfunzioni hanno fatto venire di moda la diceria che le Soprintendenze sono enti inutili, da eliminare. Quando la nave affonda, tutti se ne accorgono ma nessuno si prende la colpa: si fa prima a cercare un capro espiatorio. Così da una settimana all’altra la patria è salva se si aboliscono le Province, se chiude il Senato, se si smontano i Beni Culturali. Questa voglia di rottamare tutto e tutti, spacciata per moderna, non ha niente di nuovo: è del 1950 un intervento alla Camera del liberale Epicarmo Corbino su «l’enorme discredito» che getta sullo Stato chi dice «se si vuol fare una cosa seria, serviamoci di tutto, tranne che degli organi dello Stato».
L’ultimo libro di Sabino Cassese (Governare gli italiani. Storia dello Stato), appena pubblicato dal Mulino, offre un lucidissimo sguardo di lungo periodo sul tarlo che rode l’organizzazione della cosa pubblica. Da sempre chi ci governa gonfia l’amministrazione di nuove funzioni e strutture con una mano, con l’altra la delegittima perché lenta, pletorica, inefficace. A lungo la soluzione per snellirla fu di creare aziende autonome (come le Ferrovie dello Stato, 1905) o enti pubblici (come l’Iri, 1933).