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13giu/140

“Avevamo ragione: e’ svolta autoritaria”

Intervista a Stefano Rodotà di Silvia Truzzi (Fatto Q. 13.6.14) e articolo di Mattia Feltri (Stampa 13.6.14) LEGGI DI SEGUITO

“”Bisogna chiamarlo, Stefano Rodotà, per chiedergli un commento sull’epurazione democratica dei senatori dissenzienti, sapendo che alla fine si diranno cose molto simili alle ultime interviste? “Non bisogna essere pessimisti. Vede, la scomunica a noi professoroni è stata utile. Dopo si è innescato un circuito virtuoso di proposte e audizioni parlamentari. La vicenda dei senatori, quella di Mineo in particolare, è l’ennesima forzatura”.
Professore, da dove nasce l’insofferenza verso il dissenso?
Se Renzi e i suoi, la ministra Boschi soprattutto, avessero degnato di un minimo d’attenzione la discussione che c’è stata nell’ultimo periodo, sarebbero oggi in condizione di fare una riforma costituzionale davvero innovativa, considerando i suggerimenti che sono arrivati per la legge elettorale, per la composizione e le funzioni del Senato. Invece c’è stata un’indifferenza assoluta verso una discussione che ha visto coinvolti anche molti studiosi vicini all’area politica in cui si muove il governo: la conferma di una scarsissima cultura costituzionale.
Hanno fretta, dicono.
È questo lo sbaglio: la fretta non è solo cattiva consigliera, ma produce ritardi. Basta vedere tutto il tempo perso con il cronoprogramma del governo Letta, quando si voleva smantellare l’articolo 138 della Costituzione. In più occasioni, come altri colleghi, mi permisi di suggerire che forse era meglio partire da riforme molto condivise, come la riduzione del numero dei parlamentari e il bicameralismo perfetto, invece di mettere mano al procedimento di revisione. Se allora si fosse incardinata la discussione in Parlamento, oggi avremmo fatto passi avanti: per avere una fretta scriteriata, hanno buttato via molti mesi.
Il ministro Boschi ha detto: “Il processo delle riforme va avanti, non si può fermare per dieci senatori”.
Questa non è una riforma come tutte le altre, è la riforma della Costituzione. E nella Carta stessa è previsto un procedimento “contro la fretta”: le letture distanziate di almeno tre mesi nelle due Camere, l’eventuale referendum. Perché si deve poter discutere! I senatori di cui parla Boschi hanno fatto obiezioni e proposte che non sono l’espressione di un capriccio, ma registrano opinioni diffuse nel Pd. E comunque una discussione sulle riforme costituzionali dovrebbe dar conto dell’opinione diversa anche di un solo senatore.
I 14 senatori sostengono che sia stata “un’epurazione delle idee non ortodosse” e una “palese violazione
della Carta, riferendosi all’articolo 67 che prevede l’assenza di vincolo di mandato per i parlamentari.
Certo, il vincolo di mandato è rilevante. Quell’articolo dice anche che i parlamentari “rappresentano la Nazione”: chi rappresenta punti di vista diversi non deve certo essere allontanato. Aggiungo che sia il regolamento della Camera sia quello del Senato prevedono la sostituzione di un membro delle Commissioni facendo riferimento a singole sedute o a singoli disegni di legge. Ma la ratio di queste norme sono non è eliminare chi la pensa diversamente, bensì quello di aiutare il lavoro. Ossia di poter procedere in caso di assenza o in caso in cui ci siano competenze specifiche di un altro parlamentare.
Dalla Cina il premier ha ribadito:
“Contano più i voti degli italiani che il veto di qualche senatore”.
Quante volte abbiamo contestato la lettura del voto-lavacro a Berlusconi? Questi comportamenti gettano un’ombra molto inquietante sul futuro: Renzi non vuol negoziare con i membri del suo partito, ma continua a farlo con Berlusconi. Il Parlamento non è il luogo di ratifica delle scelte governative. Si confermano le mie enormi perplessità sull’Italicum, una legge elettorale studiata per questo. Temo che Renzi abbia già introiettato l’idea di una democrazia d’investitura. Credo si corra il rischio di rinnovati interventi della Consulta, anche sulla nuova legge elettorale. Attenzione però: sarebbe una delegittimazione dell’intero sistema, di un Parlamento non più in grado di legiferare in accordo con i principi costituzionali.
Avevate ragione a temere “la svolta autoritaria”?
La svolta autoritaria non è quella che nel Novecento ha portato l’Italia verso una dittatura. Una svolta autoritaria si può avere anche quando si dice “prendere o lasciare” o quando si eliminano istituzionalmente le voci fuori dal coro.”"

Leggi l’articolo di mattia Feltri: “”Le epurazioni? Sono logiche da clan. Cancellano secoli di cultura politica” Storici e politologi: “Per le nuove leve l’incompetenza è un valore”

“”Silvio Berlusconi aveva affrontato il problema con la classica schiettezza: «Che votino soltanto i capigruppo». Si sarebbero accelerate le procedure d’aula e «chi non è d’accordo potrà votare contro o astenersi». Questa complicazione della libertà di mandato (presente in qualsiasi costituzione occidentale, per cui il parlamentare rappresenta la nazione e non il partito, ed è libero di votare come crede) è stata poi risolta da Beppe Grillo, secondo il quale deputati e senatori dovrebbero votare secondo i desideri degli elettori, da verificare di volta in volta con consultazioni on line. «Fare come dicono duecento persone in rete?», si chiede oggi il costituzionalista Augusto Barbera. Il quale, però, non fa rientrare la vicenda del senatore Corradino Mineo nell’ambito proposto in apertura di articolo: «La libertà di mandato è sacra e inviolabile, ma si esprime in aula. Non nelle commissioni, dove deputati e senatori siedono perché designati dai gruppi parlamentari». Tanto è vero, aggiunge Barbera, che l’articolo 31 del regolamento del Senato prevede che «ciascun gruppo può, per un determinato disegno di legge o per una singola seduta, sostituire i propri rappresentanti in una commissione».
Accertata la costituzionalità della manovra d’espulsione di Mineo - ma anche una sua palese muscolarità - rimane l’impressione che le truppe del nuovismo italiano, da qualche tempo a questa parte, abbiano dimenticato e forse cancellato almeno un paio di secoli di cultura politica. «E non da ieri: direi da un ventennio, da quando sono nati i partiti della cosiddetta Seconda repubblica, che però stentano a prendere forma. Il Pd, per esempio, è un aggregato di tre o quattro partiti diversi», dice lo storico Luciano Canfora. Che aggiunge: «Ci sono giovanotti fastidiosi, diciamo così, che hanno preso a calpestare le regole perché fa comodo così». Il vincolo di mandato è spesso un’ipotesi, si contesta la segretezza del voto in aula, si impedisce con la tagliola (per la prima volta nella storia della Camera) l’ostruzionismo alle opposizioni. Canfora spiega che «non esiste più una scuola di partito». «E nemmeno un cursus secondo il quale si cominciava dai consigli comunali, per poi lentamente salire, e nel frattempo apprendere i grandi principi della democrazia occidentale», dice Augusto Barbera.
Il politologo Giorgio Galli ci ha appena scritto sopra un libro (Storia d’Italia tra imprevisto e previsioni, edizioni Mimesis) e a noi spiega che «la nuova classe politica sembra trascurare secoli di cultura politica e giuridica. È un processo che è cominciato negli anni Settanta e che sta arrivando a compimento, e coincide con la sostituzione di un’alta borghesia imprenditoriale con un’alta borghesia finanziaria, cioè speculativa e improduttiva. E anche con la nascita di un’alta borghesia burocratica. In poche parole, in Italia si sono imposti nuovi ceti sociali con una loro cultura e una loro morale». Galli parla del familismo amorale, concetto sociologico anglosassone, per cui si persegue solo il bene del proprio clan e le regole valgono solo all’interno del clan medesimo. Le norme che si credevano sacre e inviolabili non solo non valgono più, ma nessuno le conosce. «L’incompetenza è diventata un valore, una precondizione», ricorda Canfora pensando soprattutto ai cinque stelle. Essere incompetenti significa non essere inquinati dalla polvere dei secoli. «Oltretutto la poca preparazione suscita arroganza, specialmente se associata all’esercizio di un piccolo potere», aggiunge Canfora. E Galli conclude: «Nessuna conquista è per sempre. La nostra democrazia, per esempio, è stata un conquista faticosa e sanguinosa. Non voglio dire che Renzi la stia mettendo in pericolo, ma quando sostiene che col suo 41 per cento farà le riforme che riterrà di fare, bè, significa che qualcosa ci sta sfuggendo di mano».

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